DALL'HERBARIO
NUOVO DI CASTORE DURANTE: COME MODIFICARE LE PIANTE
Francesco M. Chiancone
Roma
Le tecniche seguite per modificare
i caratteri organolettici delle piante che giungevano sulle mense
nel ‘500, o per ottenere frutti più grossi, sono
spesso curiose e particolarmente interessanti. Basterebbe ricordare
quella di inserire il seme nel tragitto fatto da uno stecco nella
bacca dello sterco di capra o di pecora, o l’altra di ottenere
zucche senza semi tenendo nell’olio di sesamo il seme prima
di seminarlo, od anche come si fa diventare purgativa una zucca.
Si leggono anche suggerimenti per conservare alcuni frutti.

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QUESTIONI CESIANE:
ANIMALI O PIANTE?
Ernesto Capanna E Carla Chimenz
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo
Università di Roma “La Sapienza”
Lo studio dei due volumi,
977 e 978 delle Plantae et Flores conservati presso Biblithèque
dell’Institut de France rivela un notevole interesse del
Cesi anche per il mondo animale. Oltre agli “zoofiti”
legittimamente inclusi, secondo dettami Aristotelici, nel mondo
delle piante, sono accuratamente disegnati vari organismi animali
marini. Le ultime carte incluse nel volume 978, dedicato soprattutto
ai licheni, si riferiscono ad animali vertebrati, Pisces,
Reptilia e Volatilia, secondo i criteri classificatori del
tempo. Tra queste carte si trova il disegno del ratto ermafrodita
del quale fa menzione Johann Faber nel Rerum Medicarum novae
Hispaniae Thesaurus.

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LA PRIMA ILLUSTRAZIONE DELLA "BOLLA" DELLE FOGLIE DI
QUERCIA DA TAPHRINA CAERULESCENS (Mont. et Desm.) Tul.
Antonio Graniti1
e Franco Marras2
Una tavola (ms 974, c. 15) dei codici Plantae et flores
di F. Cesi raffigura alcune foglie di Quercia colpite dalla "bolla",
una malattia causata da un fungo emi-ascomicete, Taphrina
caerulescens (Mont. et Desm.) Tul. Le foglie presentano distorsioni,
ipertrofie dei tessuti e bollosità della lamina con alterazione
del colore. La malattia è sporadica su varie specie di
Quercia nei boschi dell'Appennino, ma ha modesta importanza fitopatologica,
anche se può determinare filloptosi. Le figure della tavola
di Cesi testimoniano che la malattia era presente nei primi decenni
del XVI secolo nei boschi umbri e sabini, luoghi preferiti dai
primi Lincei per le loro raccolte, oltre due secoli prima della
descrizione del suo agente patogeno. Questa tavola non è
solo la prima raffigurazione della "bolla" della Quercia,
ma probabilmente anche di una malattia da Taphrinales.
1 Dipartimento
di biologia e patologia vegetale, Università degli Studi,
Via G. Amendola 175/A, 70126 Bari
2 Dipartimento di protezione delle piante, Università
degli Studi, Via E. De Nicola 1, 07100 Sassari

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FEDERICO
CESI E L'INIZIO DELLA LICHENOLOGIA
Pier Luigi Nimis e Laura Zucconi
Il numero di disegni che Cesi dedicò
ai licheni è molto esiguo. Vi sono però delle illustrazioni
interessanti, che possono fornire uno spunto per discutere alcuni
aspetti della storia della botanica italiana.
Uno dei due poster - scelto soprattutto per la qualità
estetica del disegno, è dedicato a Lobaria pulmonaria
(L.) Hoffm. Si tratta di uno dei licheni più "famosi",
sia per le cospicue dimensioni, sia per il fatto che in passato,
a causa del suo aspetto alveolato, veniva utilizzata come medicinale
contro le malattie polmonari. La Lobaria è un lichene di
foreste molto umide ed incontaminate: un tempo era certamente
più diffuso. Oggi è scomparso da vaste parti d'Europa
a causa dell'inquinamento, dell'urbanizzazione e delle pratiche
silvoculturali. Il Cesi la illustra splendidamente: si tratta
di uno dei primi disegni di un "bioindicatore".
L'altro poster presenta invece diversi disegni dedicati a licheni
del genere Cladonia. Alcuni di essi mostrano Cladonia
pyxidata (L.) Hoffm., forse la specie più comune in
tutta Italia, facilmente riconoscibile per il cortex areolato,
i podezi a forma a trombetta svasata, e le piccole squamule basali.
Un disegno mostra il fenomeno della proliferazione marginale dei
podezi, i quali generano altri piccoli podezi a forma di coppa
tutt' attorno al margine. Altri disegni, accompagnati dalla scritta
"Prope Pyxidatum" - indicativa del fatto che
il Cesi riconosceva l'affinità tra le diverse specie -
sono forse la prima rappresentazione di una comunità lichenica,
il Cladonietum coniocreae Duvign., comune su ceppi marcescenti
in tutta Europa. Le due specie più caratteristiche sono
chiaramente distinguibili: Cladonia fimbriata (L.) Fr.,
a forma di coppa allungata ed ampiamente svasata all'apice, e
Cladonia coniocraea (Flörke) Spreng., a forma di
bastoncello appuntito. Quest'ultima specie è riproposta
con due altri disegni, uno a basso ingrandimento che ne rappresenta
l'habitus, un altro ad ingrandimento molto più forte (ca.
x 30) che rappresenta forse la parte biologicamente più
interessante di questa tavola. Questa illustrazione, che rappresenta
un dettaglio dell'apice di un podezio, lo mostra completamente
ricoperto di piccole granulazioni di forma sferica. Si tratta
di soredi, i piccoli propaguli costituiti da gomitoli di ife fungine
avvolti attorno ad alcune cellule algali che servono alla riproduzione
vegetativa dei licheni. Questo disegno costituisce quasi sicuramente
la prima - e chiarissima - illustrazione dei soredi nella storia
della lichenologia.
Cesi effettuò le sue illustrazioni utilizzando un microscopio
costruito da Galileo. Lo strumento venne successivamente affinato,
e cominciò ad essere usato da numerosi naturalisti. Ciò
portò l' Italia all'avanguardia negli studi crittogamologici:
basti pensare all' opera di Pier Antonio Micheli (1679-1737),
da molti considerato come il vero fondatore della Lichenologia
come scienza. Un fenomeno simile si ripetè nella prima
metà dell' 800. L'invenzione del microscopio a lenti acromatiche
da parte di Giovan Battista Amici (1786-1862) produsse una vera
e propria esplosione di studi crittogamologici: per un breve periodo
l' Italia si trovò all' avanguardia in questo campo, soprattutto
grazie agli studi di Giuseppe De Notaris (1805-1877) e dei suoi
numerosi allievi. Si tratta in entrambi i casi di un tipico esempio
di stretta interrelazione tra progesso tecnico e progresso scientifico.

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LA
RAPPRESENTAZIONE DELLE PIANTE AGLI INIZI DEL SECOLO XVII
Ettore Pacini*
Dipartimento di Scienze Ambientali
Università degli Studi di Siena
Via P.A. Mattioli 4
53100 Siena
pacini@unisi.it
Le piante sono presenti nelle opere
d’arte con differenti scopi: decorativo, simbolico, allusivo,
riempitivo; scopi che non sono sempre tra loro mutuamente esclusivi.
Inoltre sono differenti anche i tipi di rappresentazione: stilizzata,
naturalistica e scientifica; la prima è la più antica
forma di rappresentazione, la seconda si ha soprattutto a partire
dal Rinascimento; la terza tra 1500 e 1600. Gli scopi, le modalità,
così come le tecniche artistiche, variano nel tempo e la
rappresentazione delle piante è tanto più fedele
quanto più la tecnica usata non richiede velocità.
Il massimo della velocità si realizza nelle piante in posa,
altrimenti esse appassiscono; tra 1500 e 1600 molte piante sono
state “ritratte” dal vero, soprattutto nel caso della
rappresentazione scientifica, negli altri casi le piante potevano
essere anche rappresentate a memoria o copiando immagini precedenti.
Gli esempi riportati servono a far capire le ragioni per cui le
piante sono presenti nelle opere e le modalità di rappresentazione
tipico dei vari artisti. L’analisi delle opere pittoriche
non può non tenere conto del fatto che in questo periodo
si assiste contemporaneamente al nascere del metodo sperimentale,
degli strumenti scientifici e di alcuni generi artistici come
la natura morta, il paesaggio e la illustrazione scientifica;
in questi generi le piante hanno un largo spazio.

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VEGETATION
OF AN INTERMONTANE BASIN IN THE PLIOCENE LACUSTRINE DEPOSIT OF DUNAROBBA
Arturo Paganelli
The first discovery of Dunarobba
deposit with fossil trunks dates back to 1620 and was due to Federico
Cesi, founder of the National Lincei Academic. Recently, several
studies were carried out on the Dunarobba Fossil Forest to investigate
what was recorded by the sediments and fossil trunks when the
forest was still living. In particular, we recall a preliminary
palynological study carried out on the uppermost sediment layers
(only 350 cm from the surface) including one of the numerous fossil
trunks still in growing position.
An earlier palaeobotanical study on fossil woods, identified the
various trunks - all of which are monospecific - as Taxodioxylon
gypsaceum (Göppert) Kräusel. This species became
exstinguished during the Pliocene but should be considered a precursor
of the present-day Coastal Sequoia (Sequoia sempervirens
(Lamb.) Endl.).
Pollen analysis has shown the palaeo-flora present in the area
where the Dunarobba forest grew, as well as the habitat and climate
existing in that geological era.
The results show a qualitatively rich palynoflora, with a fair
percentage of Tertiary elements no longer found in present-day
indigenous European flora, with a predominace of pollen grains
from trees and shrubs (AP) with respect to herbaceous plants (NAP).
The most frequent forest species found are: Sequoia-type,
Taxodium-type and Pinus subgenus Haploxylon,
followed by (in decreasing order): Alnus, Larix,
Abies, Picea, Pinus subgenus Diploxylon,
Zelkova, Tsuga, Cycadaceae (Stangeria-type),
Carya, Sciadopitys, Betula, Salix,
Quercus type deciduous and Castanea; and sporadically,
Carpinus, Cedrus, Celtis, Ephedra,
Eucommia, Fagus, Ilex, Juniperus,
Ligustrum, Maclura, Nyssa, Ostrya,
Pterocarya, Sambucus and Tilia.
We believe that the pollen identified as Sequoia-type
should correspond to Taxodioxylon gypsaceum.
The AP taxa found were grouped into three categories, according
to their date of disappearance from Italy: the first group comprises
the Tertiary plants disappeared during the Late Pliocene and/or
Early Pleistocene, such as Sequoia-type, Taxodium-type,
Sciadopitys, Stangeria-type, Eucommia,
Nyssa, and Celtis among the AP and, among the
NAP, Tillandsia-type; the second group comprises Cedrus,
Tsuga, Pinus sbg. Haploxylon, Carya
and Pterocarya, which disappeared during the Pleistocene
glaciations. The third group includes all the other plants still
growing in Italy.
The Taxodioxylon undergrowth was very luxuriant with
abundant Pteridophyta, among which Lycopodium sp. spores
predominate in the deeper layers, followed (in the more superficial
ones) by Osmunda sp., which is thought to be largely
due to soil conditions.
The climatic conditions of the period are brought out by the pollen
diagram: a decidedly warmer and wetter climate than at present,
shown both by the presence in situ of plants like archaic
Sequoia and the abundance of Pteridophyta spores as well
as some pollen grain of Tillandsia-type, an epiphyte
currently present in some tropical zones. Moreover, the diagram
shows the edaphic conditions in which Sequoia flourished:
an environment subject to continuous alluvial phases. Moreover,
the finding of pollen grains of Alnus and Salix,
as well as of Potamogetonaceae and Alismataceae shows the existence
of slow-flowing water courses. Finally, the continual finding
of pollen of Taxodium-type gives us further information
regarding the existence of forests growing in swamps, in submerged
sandy or clay soils, on river-banks and badly-drained depressions
close to the Dunarobba area.
On the basis of these preliminary studies (only a sediment of
limited thickness was studied), a comparative study was attempted
between present-day Coastal Sequoia and the archaic Sequoia, in
order to see whether the ecological features of the two plants
are similar or dissimilar. This was achieved through a study of
the external morphology of the trunk and root features, as well
as by studying the sediment quality. We conclude, at least on
the basis of the parameters analysed so far, that there are no
substantial ecological and environmental differences between the
present-day and the fossil species.
The Sciadopithys curve is also discussed, and a climatic
significance was attributed to it. Dendrochronological results
appear to confirm this interpretation. It is therefore hypothesised
that one of the causes of the disappearance of this forest type
was changing climatic conditions.
From a chronological point of view, the pollen results show that
the deposit of the Dunarobba Fossil Forest should be dated back
to the Pliocene with evident Taxodiaceae facies. However,
due to the limited number of sediments analised, it is impossible
to know which phase of the Pliocene may be identified.

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FEDERICO
CESI: ANTESIGNANO DELL’ANALISI MICROSCOPICA DEI FUNGHI.
Claudia Perini e Elena Salerni
Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”
via P.A. Mattioli 4
53100 Siena
Il XVI secolo è, per quanto
riguarda le buone raffigurazioni in campo micologico, un secolo
di grandi cambiamenti. Fino ad allora i funghi erano percepiti
come “strani” organismi di cui era sconosciuta l’origine
e lo sviluppo. Spesso considerati come prodotti di origine diabolica,
era opinione generale che questi non fossero velenosi di per se,
ma che lo diventassero per cause esterne. Conseguentemente la
distinzione e descrizione di funghi era per lo più approssimativa
e spesso legata ad aspetti fantastici.
Con il rinascimento, in tutti i campi scientifici e quindi anche
in quello micologico, si adotta un nuovo modo, ripreso in parte
dai Greci e Romani, di osservare la natura direttamente così
da portare nuove idee e scoperte.
In questo contesto si inserisce l’opera di Federico Cesi
che, soffermandosi sul modo di riproduzione nel regno vegetale
in senso lato, rivolge particolare attenzione ai funghi, dei quali
ha prodotto un grande numero di tavole colorate rappresentanti
la loro variabilità e complessità con un ampia gamma
di forme. Infatti degli otto codici manoscritti e illustrati tre
(catalogati con i numeri dal 968 al 970) intitolati “Fungorum
genera et species”, sono dedicati sostanzialmente ai
funghi; anche nel manoscritto 978 intitolato “Plantes
et Flores”, forse il più antico che contiene
una miscellania di raffigurazioni di natura e di mano diverse,
si ritrovano una serie di miceti. Delle quasi 700 tavole dedicate
ai funghi numerose sono le rappresentazioni dedicate a specie
agaricoidi, ma non vengono tuttavia tralasciate ne quelle gasteroidi,
ne le Aphyllophorales s.l. Particolare impegno viene
dedicato dal Cesi nella ricerca delle strutture riproduttive del
fungo, intuendo, con notevole anticipo, la natura microscopica
delle spore sessuali. Infatti in molte delle tavole, Federico
Cesi fa uso del microscopio ponendo in rilievo quasi sempre l’imenio
fungino.
I codici di Federico Cesi sono prodotti con una così grande
accuratezza e precisione, rispecchiando abbastanza fedelmente
la realtà, da poter essere definiti come unici di quell’epoca

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“IL
NATURAL DESIDERIO DI SAPERE” IN FEDERICO CESI
Antonio Pieretti
1. La sapienza come fine dell’uomo.
“I lincei devono in primo luogo ricercare la sapienza con
ogni energia e impegno” (Ristretto delle Costituzioni
Lincee)
Perché mai la sapienza? Perché la vera sapienza
“non solo potrà riscattarci da quei mali, ma ci potrà
elargire ogni sorta di beatitudine” (Proponimento
liceo)
Si tratta peraltro di un’impresa “si degna, si grande
e si propria dell’uomo”, cioè conforme
alla sua natura.
Come si può ottenere? “Occupando e tirando a sé
tutto l’homo”; la sapienza infatti “vuole l’homo
tutto” che sia disposto a realizzare “quel precetto,
sancito dagli antichi padri- che ciascuno conosca se stesso, meditando
profondamente suoi molti errori e sulla miseria delle cose umane”
(Proponimento linceo).
Occorrono però due condizioni: “un’ordinata
costitutione” e una “militia filosofica”
che sia ad un tempo ricerca del sapere ed esperienza morale. La
sapienza infatti è un progetto di vita (Del naturale…..,
p. 35)
2. “Sublime
è l’eminenza del sapere”
In alcuni passaggi degli scritti di Cesi la sapienza e il sapere
sembrano identificarsi. E’ questo il caso del Proponimento
linceo, in cui la conoscenza è definita “opera
soavissima della mente umana e alimento utilissimo dell’ingegno”.
La stessa cosa si può dire a proposito del Linceographum,
in cui sapienza e sapere, sebbene distinti, sono collocati sullo
stesso piano. Nel Ristretto delle costituzioni lincee
invece si parla soltanto di sapienza.
Ma quale rapporto tra loro sussista è detto in modo esemplare
nel discorso Del naturale desiderio del sapere, dove
si afferma che l’Accademia è stata eretta per “l’acquisto
della sapienza”, “ particolarmente con i mezzi delle
principali discipline”, ossia della filosofia naturale e
della matematica. Tali discipline infatti sono “degno instrumento”ai
fini del sapere.
Questo non significa che Cesi consideri il sapere irrilevante
rispetto alla sapienza, ma piuttosto che gli attribuisce un ruolo
ben definito nei suoi confronti. La conoscenza, del resto, ha
“nel desiderio naturale di sapere” il suo fondamento
e, per essere raggiunta, richiede condizioni in tutto simili a
quelle previste per l’acquisto della sapienza.
Benefici del sapere:
— “sublime è l’eminenza del sapere”
— “il grado e la decenza vera ch’apporta per
se stesso, …., il sapere”
— “porge diletto”, quale che sia il grado di
conoscenza che si raggiunge.
3.“In ciascuno
è nato il desiderio di sapere”
Il desiderio di sapere equivale per l’uomo ad un “affetto
innato”. Risponde per lui ad una “naturale inclinatione”.
“E’ notissimo che il sapere è proprio dell’huomo
fra tutti gli esseri viventi e che a questo egli ha la ragione”.
Del resto, in quanto animale razionale, è tenuto a “servirsi
della ragione da Dio donataci”.
“Non vi è altro uso di quella più sublime
operazione che quella dell’intelletto”. Per questo
il sapere
— ha in sé il proprio fine (“il sapere stesso
è lo scopo, e basta a muovere”)
— dignità del sapere (apporta “il grado e la
decenza vera”)
— piacevolezza del sapere (“porge diletto”)
— utilità del sapere (“vero guadagno si ottiene
dal sapere”
e se tutto ciò non è sufficiente a stimolarne la
pratica, si ricordi che “ evvi il desiderio della gloria
del vero e lodevole piacere, dell’utile, del commodo, della
quiete e altri beni conseguenti senza …”( p. 43)
4. L’oggetto
del sapere
— ”questo grande, veritiero et universal libro del
mondo”
— “libro dell’universo”
— “ è grandissimo veramente il campo del sapere,
grande per la copia delle contemplazioni e grande per la copia
delle lezzioni”
— “gli oggetti tutti che si presentano in questo gran
teatro della natura”
— gli “arcani della natura”
Di qui l’invito di Cesi: ai Lincei non resta perciò
che dedicarsi, “nel grandissimo campo della filosofia, a
studiare i più riposti recessi della natura per penetrare
i suoi più intimi segreti”.
5. Gli ostacoli al
sapere.
Nonostante quanto si è detto sugli effetti del sapere e
sulla sua natura,
“sono per lo più abbandonate e derelitte quelle stesse
che più possono soddisfare il desiderio nativo, quelle
che più ci danno di cognitione e più ci apportano
di perfectione e d’ornamento, dico la gran filosofia, le
matematiche e le filologiche e le poetiche erudizioni”.
Anche se “veramente sono scopo dell’innato desiderio”,
esse sono trascurate. Perché?
1. — “per fiacchezza in affetto si principale “
2. — “per debolezza e trascuraggine nell’esecutione
d’esso”
3. — “per la difficoltà grande ch’accosti
all’impossibile, per scarsezza di mezzi, di modi, di requisiti”
4. — per la fatica che il sapere comporta:“ad un istesso
parto con sì degna inclinatione (se però non precede
ancora) insorge l’odio della fatiga”
5. — “viene posposta la buona inclinatione al piacer
della pigrizia”
6. — abuso e cattivo uso o nessun uso della ragione
7. — “credo che primieramente il tutto proceda dal
fine per il quale si studia, che, per lo più, non sia altrimente
il sapere, ma il guadagno, gli honori, favori e comodità”
[ condanna dei costumi accademici].
Come si può vedere, gli
ostacoli che si oppongono al sapere non riguardano l’oggetto,
il metodo, le discipline prescelte, ma attengono alla disposizione
morale di chi vi si dedica, al fine che si ripromette di perseguire.
“La loro mira è più nel parer che nell’essere,
et habere fama di dottrina che di sapere”.
Del resto, il cattivo uso della ragione è un indice evidente
della loro infedeltà nei confronti dello statuto razionale
dell’uomo.
Non a caso perciò chi si comporta così, si attiene
a “modi più di corte che di stile e tanto alieni
dall’acquisto della sapienza quanto ciascuno puol considerare”.
Non è difficile, però, in questo caso, perdere l’onorato
grado di filosofo e “cadere nel luogo vilissimo di parassito,
buffone o almeno adulatore”.
6. L’”identità
lincea” richiede una conversione morale e intellettuale.
Per sottrarsi a questi rischi occorre adeguarsi a “quel
precetto, sancito dagli antichi padri – ciascuno conosca
se stesso, meditando profondamente sui molti errori e sulla miseria
delle umane cose” (Proponimento linceo).
— Occorre un impegno totale perché le attività
svolte “altro non procurano e bramano la sapienza per utile
sì proprio come anco comune di ciascuno”;
— Sono necessari “animi si ben composti e dedicati
in tutto alle virtù”, cioè capaci di professare
“tanto amore alla virtù”, che ne facciano “uomini
degni” e “liberi da tutte le occupazioni e brighe
dipendenti dal corpo” [castità e rapporto con gli
altri ] ;
— I Lincei devono essere individui“segregati dal contagio
del volgo comune”, liberi dalla peste della pigrizia”;
— Devono essere raccolti in un consesso, come “nell’accampamento
di una filosofica milizia” (Accademia);
— “infiammati dal fervore dello studio”;
— “impegnati a conservare tra noi la benevolenza,
la reciproca consuetudine e il vincolo di una sincera fedeltà”,
ad attuare una “studiosa amicizia”;
Questo ideale morale e scientifico, già presente nel Proponimento,
è sviluppato nel Linceographum quo norma studiosae
vitae linceorum philosophorum exponitur, dove viene ribadito
che i membri dell’Accademia, aiutandosi a vicenda, devono
dedicarsi alla ricerca scientifica, “vivendo insieme rettamente
e piamente, e impegnandosi a diffondere tra gli uomini la conoscenza
“a voce e con gli scritti, “pacificamente e senza
recare danno a nessuno”. Non a caso appunto i Lincei si
proclamano “cultori della pace e del pubblico bene”.
— Il cammino da percorrere è lungo, per cui “deve
…bene la vita”, ma “soprattutto si procederà
sempre avanti col proprio intelletto filosofando con ogni sincerità
“ e rifuggendo da autorità precostituite.
— Probità morale, ricerca comunitaria, …tensione
morale rerligiosa
— Libertà della ricerca.
Ps. Larga parte della presente relazione è
incentrata sul noto discorso intitolato “Del natural
desiderio di sapere e beatitudine dei Lincei per adempimento di
esso”, tenuto a Napoli da Federico Cesi il 26 gennaio
1616, cioè 13 anni dopo l’istituzione dell’Accademia.
Ma si estende al Liceographum quo norma studiosae vitae Lynceorum
philosophorum exponitur , al Proponimeno linceo e al Ristretto
delle costitutioni lincee

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IL
METODO SINOTTICO, COLLANTE TRA LA SYNTAXIS PLANTARUM DI
ALDROVANDI E LE TAVOLE FITOSOFICHE DI CESI
Andrea Ubrizsy Savoia
Orto Botanico – Dip. Biologia vegetale, Università
di Roma „La Sapienza“
Largo Cristina di Svezia 24
andrea.ubrizsysavoia@uniroma1.it
Soltanto una minima parte dell‘opera monumentale del naturalista
bolognese vide le stampe quando era ancora in vita, mentre i suoi
studi sul mondo vegetale - tra cui la Syntaxis plantarum o Syntaxis
de plantis (BUB ms. Aldrov. 80 e 81) - rimasero inediti.
La Syntaxis plantarum, Syntaxis de plantis, è
un manoscritto in due volumi, non datato ma collocabile fra il
1561 e 1600, su cui, salvo una prima ricognizione del Mattirolo
(1897) e del Morini (1907), non sono stati svolti studi. I due
volumi, che consistono in una raccolta di tavole sinottiche, rappresentano
uno schema classificatorio, un metodo di distinzione di tradizione
scolastica.
La „methodus“ per Aldrovandi non era soltanto uno
strumento di ricerca di classificazione e di comparazione ma anche
un ordine didattico, un (nuovo) mezzo per sistematizzare e trasmettere
il sapere. Egli l’aveva già usato per le altre discipline
nel suo ideale enciclopedico come il Philosophiae methodus
(ms. 40), De arte Raimundi Lulij (1595, ms. 21), De
memoria artificiali (1595, ms. 21), la Syntaxis animalium
(ms. 7 e seconda parte del ms. 81), e così via, compresa
la classificazione delle stesse scienze nell‘Artium
et scientiarum methodus (ms. 97, risalente a 1553-1560 circa,
e ms. 40); tutti rimasti in manoscritto (Olmi, 1976; Tugnoli Pattaro,
1981). Nella Syntaxis plantarum – di cui esortò
vivamente la pubblicazione nel suo testamento (Fantuzzi, 1774)
– la „methodus“ si manifesta anche come mnemotecnica:
la grande innovazione di Aldrovandi era di collegare il metodo
di classificazione e di comparazione con un metodo visivo, il
disegno, ed elaborare delle tabelle allo scopo di assicurare una
migliore esposizione e quindi comprensione delle tesi esposte.
Le tavole sono strutturate secondo un ordine divisivo in base
a differenze riscontrate – le chiavi o criteri - ed entità
gerarchiche come „classi“, „generi“ e
„specie“. Lo scopo era di individuare categorie comuni
alle „diciotto mila specie diverse“ che Aldrovandi
aveva osservato (cfr. De arte Raimundi Lulij, ms. 21,
in: Olmi, 1976). Lo studioso bolognese aveva pienamente compreso
l‘importanza del ruolo delle immagini come strumento dell‘arte
della memoria.
Da un primo esame preliminare della Syntaxis plantarum,
emergono le proprietà macroscopiche delle piante sulle
quali egli voleva fondare il sistema per collegare fra loro i
vegetali. Ci sono molte tavole che riguardano gli organi, le loro
proprietà, come p.e. i tipi di frutti, inclusa la deiscenza,
le differenze dei semi con riferimento alla posizione dell‘embrione
(„cor“) in combinazione con altri caratteri.
Le tavole più complesse sono quelle che riguardano il fiore:
qui le chiavi analitiche sono a maggioranza basate su caratteri
esterni („quantitate“), fra cui il numero
degli stami - „staminibus“ – arrivando
a dividere le piante secondo il colore e le differenze esterne
degli stami, e delle antere („apices“, c.
218 ms. 80) e così via. Sono meno numerose ma altrettanto
importanti le chiavi fisiologiche („qualitate“),
come il tempo della fioritura, in base alla quale Aldrovandi arriva
a compilare un calendario mensile di fioriture. L‘interesse
principale di Aldrovandi era quindi concentrato sui fiori, frutti
e semi anche se ci sono molte tavole comparative che riguardano
le anche radici e il fusto.
Secondo Aldrovandi la diversità, „differentiae“
tra le piante è riconducibile alla durata ed al volume
della forza vegetativa nonché alle forme, o proprietà
esterne. Infatti, nella tabella iniziale (c. 1 ms. 81) la divisione
fondamentale delle piante avviene tra due categorie: „perpetuo
virentes“ e „deciduis foliis“.
Un particolare interesse assume la ripartizione
delle piante secondo la stazione in cui vivono e la loro presenza
geografica, con accenni ai luoghi dove si trovano con maggiore
frequenza. Significative le tavole che riguardano le classificazione
delle malattie e dei tipi di deperimento, i danneggiamenti che
subiscono le piante, e infine quelle che considerano la durata
della loro vita.
Le piante divide in perfette ed imperfette distinguendone 17 gruppi
a partire dagli alberi con le ghiande e arrivando alle „imperfecti“
e come chiave analitica indica 6 criteri: „natali loco,
vivendo conditione, partium habitu, quantitate,
discriminibus, naturae dotis“. Per le singole
categorie Aldrovandi arriva ad esempi concreti (specie), per rendere
più chiara la sua classificazione.
L‘uso delle tavole sinottiche (cfr. Baldriga, 2002) è
riscontrato anche presso altri botanici del Cinquecento, ma in
modo sporadico, come per esempio nell‘edizione del 1557
de „I Discorsi“ di Pietro Andrea Mattioli,
dove troviamo una tavola unificata che raccoglie i pesi e le misure
utilizzate nella preparazione dei medicinali, visibili così
in modo raccolto e facilmente consultabile. Soltanto in Aldrovandi
l’uso di queste tavole era così massiccio investendo
la trattazione di importanti concetti fondamentali.
Anche Cesi era un convinto sostenitore del metodo sinottico, come
afferma nel celebre discorso Del Natural desiderio di sapere
del 1616. Tra gli strumenti per studiare e comprendere l'immenso
campo del sapere, secondo Cesi "„Ci sono gl'indici
e repertori copiosissimi, dittionari, lessici di tutte le professioni,
sono digesti li migliori scrittori in luoghi comuni. Vi sono le
raccolte di fiori, di sentenze, d'attioni, e theatri e poliantee
e giardini et officine varie; vi sono le biblioteche che ci danno
tutti i libri letti e giudicati, o li vogliamo per ordine dell'autori,
o delle materie; vi è il methodo e l'arte istessa sinoptica
che, con i suoi tipi, ci rappresenta insieme e le materie tutte
e le loro dipendenze, congiontioni, divisioni et unioni et conditioni
tutte, come particolarmente nel nostro Specchio della ragione
habbiamo noi procurato porre il tutto avanti agl'occhi del contemplante“.
A poche righe più avanti nel suo discorso Cesi aggiunge
che li buoni modi e regole (che possono a' mancamenti
d'acutezza d'ingegno o di tenace memoria supplire) non sono
soltanto dei metodi scientifici ma servono anche ad aiutare nello
studio, cioè hanno un importante ruolo didattico.
A quanto risulta, le tavole sinottiche venivano utilizzate da
Aldrovandi nelle sue lezioni (Mattirolo, 1897), e Montalenti (1960)
ammette la possibilità che anche i suoi studi inediti „devono
aver influenzato notevolmente il progresso della botanica attraverso
i molti allievi che udirono le lezioni“. Aldrovandi attinse
anche alla Phytognomonica di G.B. della Porta (con il
quale intratteneva un nutrito scambio di corrispondenza cfr. Frati,
1907), e autore, fra altri, del L‘arte del Ricordare
(1566), membro fondatore dell’Accademia Lincea, e l’influenza
dello studioso napoletano è facilmente riscontrabile nelle
Tabulae cesiane. Più esplicita è l‘affermazione
della Baldriga (2002): „i Lincei applicarono i sistemi e
le strategie già approntate nel secolo precedente, da Ulisse
Aldrovandi a Bologna, del quale assimilarono l‘ansia collezionistica
e classificatoria“ concludendo che Aldrovandi era „il
più autorevole predecessore dell‘esperienza lincea“..
Anche se il libro della Baldriga (2002) studiava altri aspetti
di questo legame che non comprendeva il campo della botanica e
quindi non ci sono riferimenti alla Syntaxis aldrovandiana,
possiamo pienamente accettare queste convinzioni e tentare di
estenderle anche al nostro ambito.
Le Tabulae Phytosophicae (1649 e 1651; Pirotta, 1904)
intendono creare, attraverso l‘impostazione metodica, un
fondamento logico per lo studio delle piante (Pignatti & Mazzolani,
1986). Da un primo confronto con la Syntaxis plantarum,
possiamo già individuare degli argomenti simili trattate
in modo dettagliato nella loro esposizione da parte di ambedue
gli autori - come ad esempio le classificazioni delle piante a
seconda dell‘utilizzo, dell‘origine dei nomi, delle
malattie cui vanno soggette, e quella sorte di variabilità
delle piante erbacee che Aldrovandi definisce degenerazione („Herba
degenerant“, c. 313 ms. 81) che può avvenire
in tre modi: in natura, nella coltivazione, e per caso („casu“)
e la trasmutazione delle piante coltivate (c. 238 ms.
81). Queste categorie ritroviamo in Cesi come chiave analitica
nella tabella delle malattie e delle „mutationes“
(tab. 6 in: Pirotta, 1904) delle piante erbacee. Emergono anche
notevoli differenze tra i due: mentre la „methodus“
di Aldrovandi utilizzava soprattutto una chiave morfologica, e
quindi meno fisiologica, in Cesi la struttura (osservata per la
prima volta anche all‘ingrandimento) e la funzione sono
equilibrate, e compaiono concetti nuovi come la sessualità
nelle piante.
Sebbene le tavole di Cesi siano state pubblicate – anche
se in poche copie - né l‘opera sua né quella
di Aldrovandi hanno avuto nella storia della botanica quell‘influenza
e quel riconoscimento che avrebbero a ragione meritato.
Le Tabulae erano delle anticipazioni della sezione botanica
(Syntaxis plantaria) della progettata enciclopedia della
natura di Cesi (Thesaurus totius naturae), della quale
è stata predisposta anche la struttura illustrativa (Olmi,
1992). Proprio questo apparato illustrativo accomuna ulteriormente
la figura di Aldrovandi e quella di Cesi: la raccolta di manoscritti
di entrambi - iconografie comprese - è stata resa bottino
di guerra da parte delle truppe francesi di Napoleone. Il 5 luglio
1796 l‘erbario, insieme alle altre raccolte di Aldrovandi,
viene portato a Parigi per ordine dei Commissari francesi e lì
depositato al Museo di Storia Naturale. Dopo il trattato di Vienna,
nel 1815, fa ritorno, parzialmente mutilato, a Bologna (Mattirolo,
1897).
I codici iconografici del Cesi, insieme ad altre opere manoscritte
lincee (Olmi, 1992), sono stati confiscati dal Palazzo Albani
nel 1798 (ulteriori documenti sono stati trovati all‘Archivio
di Stato di Roma al riguardo) e, giunti a Parigi, inseriti nella
collezione Delessert, rimasero sconosciuti fino al 1979, quando
vennero rinvenuti all‘Institute de France ed identificati
ad opera di chi scrive (Ubrizsy, 1980).
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